Ricordo Osimo, Vigevano, Firenze e altre città dove via via la pallacanestro riminese ha segnato vittorie e sconfitte importanti, ma sempre affascinanti. Ricordo Udine e Pordenone dove gli sponsor delle locali cucine come Snaidero e Patriarca ci vietavano di mettere i cartelloni Sarila. Oppure Brescia dove subimmo una mai più ripetuta sconfitta con la squadra guidata da Marchionetti. Ancora Mestre la città dei nostri record. Per non ricordare Bologna con il marchio della retrocessione.
Come speaker ricordare gli interventi a viva voce sui falli non fischiati o anticipati, i richiami degli arbitri a non generare provocazioni, gli scambi a volte turbolenti con gli allenatori per dei cambi o dei falli errati. Una partecipazione viva dentro la partita per dare al pubblico le stesse mie sensazioni.
E ancora e ancora. E’ perfettamente inutile ricordare i Carasso, gli Arcangeli, i Boldrini e quanti hanno permesso di farci godere la piccola e la grande pallacanestro. Però vorrei ricordare due personaggi che mi hanno colpito in modo particolare, vuoi per la loro umanità e vuoi perché più vicini al mio mondo professionale: Giglietti e Zavatta. Non dimentico Sberlati, ma ormai non era più il mio mondo.
Poi la pallacanestro dei grandi americani, dei professionisti, dei grandi sponsor, del management sportivo, che tutti voi ora ricordate, era passato in mano come accompagnatore, al nostro grande amico recentemente scomparso Guido Fraternali.
Io rimasi come speaker ancora per tanti anni, ma io non ero più la squadra, non c’erano più gli allenatori personaggio. Finita la partita non c’era più quell’ambiente avvolgente che ti consentiva di “essere pallacanestro” sempre e comunque. Mi restava però il pubblico, sempre meraviglioso, da trainare, da enfatizzare, da portare per mano lungo il filo entusiasmante della gara. Questo mi dava ancora grandi soddisfazioni. Ti trovavi per strada ad essere salutato come un grande personaggio. Ti riconoscevano dove andavi, perché allora il pubblico era tantissimo, e, soprattutto, affezionato.
E allora con un po’ di vanità, non lo nascondo, ho continuato a scandire nomi, squadre, arbitri, allenatori fino a che mi è sembrato giusto passare il testimone a Filippo, il grande Manduchi, per me il più grande quasi come Gian Maria Carasso e Rinaldi, perché io mi sono un po’ allontanato dalla pallacanestro, mentre lui è ancora là a vivere di basket!
Infine come non ricordare i venticinque anni e forse più durante i quali ogni venerdì sera ci ritrovavamo all’angolo del Caffè Commercio, da pochi due o tre fino ad oltre una decina per andare in un ristorante qualsiasi, deciso al momento, per parlare solo e solamente di basket. A fare squadre, a commentare le partite, a giudicare i giocatori nostri e delle altre squadre, a formulare schemi e pronostici, a criticare, ad apprezzare, a dire o esprimere opinioni spesso con capacità, ma molto spesso con tanta simpatica ilarità, come tutti gli sportivi di questo mondo compresi gli sfottò, le patacate, le prese per il “sedere” (si può dire?)...
(continua...)