Correva l’anno 1984.
Ci si sente sempre giovani dentro, i figli sono l’unica cartina di tornasole del tempo che passa. Poi una mattina ti arriva una telefonata dall’amico Nicola Gambetti e ti dice: “Guarda che abbiamo messo su un comitato, riuniamo la squadra mitica, la Marr 1983/84 e festeggiamo i venticinque anni da quella memorabile impresa!”.
Venticinque anni sono passati da quell’anno incredibile. Dai 18 pullmann che raggiunsero Vigevano per la partita decisiva. Dal tiro libero con la Fortitudo Bologna che ancora ora la gente mi ricorda per la strada (per fortuna che è entrato!!), dall’incredibile impresa di Siena che girò il campionato alla prima di ritorno davanti alle telecamere della Rai (mica c’era Sky), da quelle domeniche dove un gruppo di professionisti ma anche di brave persone che ce la mettevano sempre tutta si caricarono sulle spalle i 5 mila del Flaminio e li portarono tutti in Legauno (“In A-uno si va!!!”: l’urlo che si alzava quando si capiva che si era vinta anche quella partita).
Sì, 5 mila. Perché tanti ne entravano al Flaminio prima che le nuove regole lo omologassero per 3 mila posti. Non chiedetemi come ci entrassero, non l’ho mai capito, so solo che noi arrivavamo per regolamento un’ora e quarantacinque minuti prima dell’inizio del match e le laterali erano già piene, tu entravi con la borsa a tracolla e la gente ti applaudiva.
Poi la squadra: l’amico Brighi, e via via Cecchini, Benatti, Ottaviani, Paci, Mossali, Coppari, Wansley, Sims, gli allora giovani Angeli e Terenzi, poi i coach Pasini e Dal Monte, il preparatore Succi, il “mago” Angeli ed il magnifico dott Corbari, sì quello che c’è ancora oggi, l’unico che non invecchia. Li ricordo tutti, teoria di nomi che per voi sono soltanto nomi, ma che per me sono volti con impressa la gioia della vittoria, la rabbia della sconfitta.
Poi quell’anno accadde il bello dello sport, il motivo che mi dà ancora la voglia di allenare per volontariato a Miramare i giovani di una oscura società di periferia (di cui sono Presidente così non offendo nessuno).
C’è nello sport un motivo indefinibile che si riassume in questo: il canestro di fortuna, la palla che esce o entra per caso, Gig Sims che doveva essere tagliato poi ci arriva un americano (Kelly) ammalato e Gig riparte come un treno, Benatti che non si fa mai male, perché con tutto il bene che mi voglio se Cit (lo chiamavamo così) ci sta fuori due mesi e lo sostituisco io noi in A1 non ci andiamo perché paghiamo dazio, Cecchini ed Ottaviani che venivano dalla B ma che a poco a poco erano diventati incontenibili, il sano spirito di corpo che ci animava nei confronti del coach Pasini, uno che non era tanto tenero (duri ma sempre corretti, quando sento le fronde del calcio odierno non so se ridere o piangere), insomma c’è nello sport un area indefinibile, quasi misterica, quella che il trappista Messina cerca di regolamentare il più possibile e quella che noi giocatori esorcizziamo con le cabale più impensabili. Che permette un’ impresa come questa o come tante altre, questo senza sottovalutare il lavoro duro e la preparazione maniacale che devi metterci per arrivare a giocartela.
Insomma c’è nello sport la forza del campione, perché quando Cecchini volava in contropiede ci volavano tutti i 5 mila del Flaminio, quando Wasley saltava a rimbalzo lo facevano anche loro, così quando Sims decollava per stoppare se li portava tutti dietro.
E’ l’affetto che mi (e ci) lega ai grandi campioni, campioni che ti trasportano nel loro sport e quando smettono tu non ci vai più. Pantani che parte e lì ci sei anche tu a spingere sui pedali, Tomba che scende e tu ti senti la neve in faccia, Baggio che fa la magia ed il portiere lo metti a “sedere” anche tu, così come a Misano domenica a dare gas alla Yamaha non c’era mica Valentino Rossi, c’ero io!! Pensate che ho paura ad andare in moto e quando smetterà Valentino sono sicuro che non guarderò più una gara, così come ho fatto per lo sci, il ciclismo e per il calcio.
Questa è la vera grandezza dello sport, non i milioni di euro che si incassano.
Per noi, per i ragazzi che fecero l’impresa, sabato ci si parerà davanti un altro macigno da smuovere, forse il più difficile: rincontrarsi con 25 anni in più addosso e doversi ripresentare ai tifosi che avranno la voglia (o il coraggio) di rivederci in quel gruppo di persone di mezza età.
Conosco già tutto, so già tutto, il sapore acre dell’emozione nell’esofago, il sentirmi le gambe staccate prima della presentazione. Poi come prima di ogni partita dirò a me stesso:” vediamo come va a finire questa!” al mio nome mi alzerò, partirò di corsa e tutto andrà bene.
Luca Ioli