martedì 8 aprile 2014

8 aprile 1984: trent'anni fa.

L'8 aprile 1984, trent'anni fa esatti, mille riminesi divennero "una cosa sola": nel Paese dei feroci campanili e delle surreali ed efferate lotte tra rioni della stessa città (o tra zità emareina, per rimanere tra noi), l'impresa sportiva corale è sempre riuscita a compiere miracoli, fondendo e compattando le singole comunità. I 18 pullman al seguito della prima, onesta e "piccina" ma gigantesca e trionfante MARR di Piero Pasini - l'aggiunta di ogni ulteriore dettaglio appare superfluo, se non addirittura blasfemo - rimangono, per la piccola realtà riminese dei primi anni Ottanta, così provinciale e lungi dal diventare Provincia, a loro modo qualcosa di epico, irripetibile e indimenticabile. Indipendentemente dall'età del narratore e dalla passione specifica.

Illustri accademici hanno scritto fiumi di parole sui cosiddetti falsi ricordi (o confabulation), ovvero quel processo di memoria selettiva che tende a conservare, se non addirittura a creare ex-novo, soprattutto i ricordi piacevoli vissuti nel passato. Non posso sapere se mezza città sia vittima dello stesso stravolgimento soggettivo e onirico: per quello che mi riguarda, ricordo distintamente come se fosse ora la travolgente fibrillazione di quella domenica di trent'anni fa. Avevamo preso accordi con la famiglia Mossali per trasferire e depositare l'auto di Vinicio (una Ritmo bianca targata Bergamo) nella zona del Palasport di Vigevano, per cui avremmo dovuto rimandare la partecipazione a questa sorta di "esodo laico" (così iniziava a definirsi nel passaparola collettivo, ai tempi privi di Internet e telefonini) limitandolo al solo ritorno; per me, tredicenne giocatore di pallacanestro con tanti amici sparsi per i torpedoni, sin dal mattino la prospettiva appariva frustrante: come un novello e spaesato Linus mi misi immediatamente al collo la sciarpettina biancorossa donata dal Professor Rinaldi - accessorio irrinunciabile - strusciandone continuamente il tessuto dozzinale ma ormai così... vissuto e pregno di emotività domenicale. E la sensazione era bella e positiva.

L'incombenza logistica, comunque, non ci trattenne dall'andare a salutare, prima di metterci in viaggio, la città cestistica ormai completamente riversatasi in via Dante sin dal primo mattino, dove una surreale carovana infinita dei pullman - almeno così appariva a un tredicenne - si apprestava ad accogliere un fiume di persone ormai fisiologicamente "fuso" al DNA della squadra, mai così amata e sostenuta. Ripensare e ricordare cosa rappresentò la stagione 1983/84 per il Basket Rimini e per la Città è impossibile e, comunque, riduttivo: parlandone oggi con i diretti protagonisti - uomini straordinari prima che giocatori unici e tra loro eccezionalmente complementari - emergono tante opinioni... una squadra radicata nel territorio e composta da molti "indigeni" o, comunque, delle zone limitrofe (Paci, Angeli, Terenzi, Brighi, Ottaviani, Ioli, Cecchini), un asse portante granitico (Benatti e Wansley), un giocatore spettacolare ma dalle mille vicissitudini emotive (Sims) e, in ultimo ma non meno importanti, due "comprimari" puntuali e affidabili (Coppari e Mossali). Per dirla con le loro parole, utilizzate solo pochi anni fa:"Nessuna stella, nessun fenomeno, nessuna luce abbagliante e, di conseguenza, nessuna ombra incombente sui compagni. Si giocava serenamente e altruisticamente con e per il prossimo: una vera squadra". Chapeau.

E ogni vera squadra ha una propria casa... e il palasport Flaminio, quell'anno, era divenuto realmente la culla dei nostri sogni. Riempito all'inverosimile ben oltre le capacità legali e fisiche, diventava per ore un ritrovo collettivo (la partita, per molti e prima dell'innamoramento collettivo, poteva essere un puro pretesto di convivialità e promiscuità): già saturo di umidità e fumo di sigaretta, all'ingresso delle squadre l'onda d'urto sonora ed emotiva faceva tremare le vene ai polsi. E un contropiede o una schiacciata - erano lontani i tempi delle "bombe" - ci faceva alzare tutti nella tensione solidale dello sforzo collettivo, tanto che, all'uscita, doleva la gola, la voce diventava roca e ci si ritrovava sudati fradici e fisicamente spossati. Un'energia contagiosa che quell'8 aprile doveva essere trasferita anche in un oscuro palasport (meglio: capiente palestra) brianzolo: si, a Vigevano ci sarebbe stato anche il Flaminio.

Della mattinata ricordo distintamente la tensione crescente e la consapevolezza di partecipare a qualcosa di memorabile, con il leggendario e gongolante Gian Maria Carasso assurto a deus ex machina dell'operazione e tanti volti storici del "nostro" basket comparire all'improvviso un po' ovunque: il bonario e paternale presidente Gian Piero Arcangeli, i fratelli Boldrini, i fratelli Baldinini, Guidone Fraternali e Salvatore Mister Green Verde, il gigantesco Rick Cervellini ma anche gli altrettanto monumentali Professor Rinaldi, Giuliano Gallusi, Pippo Manduchi, Luciano Fontana, Giorgio Romersa... in mezzo a centinaia di tifosi di qualsiasi età, immersi in un meteo sì uggioso ma in un clima emotivo a cavallo tra la sagra paesana e la gita scolastica; del viaggio (di andata) ricordo la carovana interminabile di pullman blu in autostrada e gli sguardi interrogativi dei passeggeri nel scorgere una Ritmo lombarda con una sciarpa biancorossa al finestrino; del palasport (meglio: capiente palestra...) ricordo l'aspetto dimesso - praticamente un capannone industriale - e il muro verticale di teste riminesi, realmente impressionante (alla fine i romagnoli presenti saranno più di 1.150).

Della partita, invece, ricordo poco... anche perché il risultato del campo (74-68 per la MARR), quel giorno, contava relativamente: era infatti necessario che perdessero contemporaneamente sia Siena (sconfitta a Ferrara 93-87) sia Brindisi (sconfitta 90-89, in casa, da Rieti!); ed ecco che affiora, eccezionalmente nitida, l'immagine del palasport in penombra, ormai svuotato in molti settori ma con la tribuna riminese ancora traboccante di volti preoccupati e silenziosi in attesa della conferma concitata del leggendario Massimo De Luca dalle frequenze RAI di "Tuttobasket". Il boato che seguì all'annuncio dei risultati, l'incredulità e la commozione - si, vera commozione, con lacrime, abbracci e tutto il travolgente corredo delle emozioni collettive più belle e profonde che solo lo sport riesce a dare - mi travolge ancora adesso con la medesima intensità facendomi provare brividi reali... "solo" trent'anni dopo.

Magia del basket, magia di una squadra unica a cui, forse, nonostante tutto non ho ancora ripetuto sufficientemente "grazie".

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